LA PIETRA LECCESE
La pietra leccese (il leccisu in dialetto salentino, detta anche pietra gentile) è, dal punto di vista chimico, una roccia calcarea appartenente al gruppo delle calcareniti e risalente al periodo miocenico, tipica della regione salentina e nota soprattutto per la sua plasmabilità e facilità di lavorazione. Il leccisu ha una composizione piuttosto omogenea: l'esame petrografico rivela che la roccia è costituita principalmente da carbonato di calcio (CaCO3) sotto forma di granuli di calcare (microfossili e frammenti di fossili di fauna marina, risalenti a circa sei milioni di anni fa) e di cemento calcitico, a cui si legano glauconite, quarzo, vari feldspati e fosfati, oltre a sostanze argillose finemente disperse (caolinite, smectite e clorite), che nelle diverse miscele creano differenti qualità della roccia. La pietra leccese affiora naturalmente dal terreno e si ricava dal sottosuolo in enormi cave a cielo aperto, profonde anche trenta metri e diffuse su tutto il territorio salentino. Il leccisu viene ricavato in forma di parallelepipedi di varia dimensione; l'estrazione è semplice poiché si lascia incidere con la stessa facilità del legno. Una volta estratto, accade qualcosa di unico: la durezza e la resistenza del leccisu crescono con il passare del tempo e nella consolidazione la pietra assume una tonalità di colore ambrata simile a quella del miele. Di colore dal bianco al giallo paglierino, la roccia si presenta compatta e di grana fine. Utilizzata sia in campo architettonico che scultoreo, la pietra leccese deve la sua particolare malleabilità alla presenza di argilla, che permette un modellamento al tornio e persino manuale. Apprezzata in campo artistico, ha raggiunto stima internazionale grazie all'artigianato locale che nel corso dei secoli ha prodotto la complessa architettura del Barocco leccese. Esempi significativi sono i fregi, i capitelli, i pinnacoli e i rosoni che decorano molti dei palazzi e delle chiese di Lecce, come ad esempio il palazzo dei Celestini e l'adiacente Chiesa di Santa Croce, la Chiesa di Santa Chiara e il Duomo. La natura stessa della pietra la rende molto sensibile all'azione meccanica degli agenti atmosferici, all'umidità di risalita del terreno, alla stagnazione di acqua e allo smog. Per rendere il leccisu più resistente alle intemperie, i maestri scultori dell'epoca barocca usavano trattare la roccia con del latte. Il blocco di pietra leccese veniva spugnato o immerso interamente nel liquido; il lattosio, penetrando all'interno delle porosità, creava uno strato impermeabile che preservava la pietra fino a portarla, quasi inalterata, ai giorni nostri. Nota sin dall'antichità, nella Terra d'Otranto si ritrovano dolmen, menhir, statue e costruzioni romane fabbricati in leccisu. I primi studi geologici risalgono alla seconda metà del XVI secolo, ma si deve a Giovanbattista Brocchi, nel suo studio sulla configurazione geologica salentina (1818), l'identificazione, la prima datazione (fra Secondario e Terziario) e l'origine del nome della pietra leccese. Al suo interno, cavatori e paleontologi hanno rinvenuto fossili rilevanti di cefalopodi, delfini, capodogli, denti di squali, pesci, tartarughe e coccodrilli. Attualmente, l'artigianato della pietra leccese produce souvenir e vere e proprie opere d'arte.